Birra artigianale e birra industriale

Si tratta sempre di birra, ma esistono sostanziali differenze tra un prodotto artigianale e uno industriale. Scopriamo quali!

Fino a qualche anno fa, in Italia, il termine artigianale non era legalmente tutelato e pertanto era vietato ai piccoli produttori di apporre tale dicitura in etichetta. Si faceva riferimento alla legge del 1962 che si limitava a definire una birra secondo il suo grado plato (contenuto zuccherino prima della fase di fermentazione) dividendola in analcolica, leggera o doppio malto.
Dal febbraio 2016 il Senato ha, invece, finalmente approvato la proposta di legge presentata dai produttori sancendo o meglio consolidando una volta per tutte la nascita ufficiale e l'esistenza concreta della birra artigianale italiana.
Si definisce birra artigianale la birra prodotta da piccoli birrifici indipendenti e non sottoposta, durante la fase di produzione, a processi di pastorizzazione e microfiltrazione. Ai fini del presente comma si intende per piccolo birrificio indipendente un birrificio che sia legalmente ed economicamente indipendente da qualsiasi altro birrificio, che utilizzi impianti fisicamente distinti da quelli di qualsiasi altro birrificio, che non operi sotto licenza e la cui produzione annua non superi i 200.000 ettolitri, includendo in questo quantitativo le quantità di prodotto per conto terzi”.
Come si può facilmente apprendere, l'emendamento chiarisce diversi punti che distinguono una birra artigianale da una che non lo è.

Pastorizzazione

Innanzitutto la pastorizzazione, ovvero il processo mediante il quale, tramite un risanamento termico, vengono stanati quei microorganismi che possono diventare patogeni come i batteri, i funghi e, nel caso di nostro interesse, i lieviti. Pastorizzare una birra, come accade in ambito industriale, garantisce l'assenza totale di possibili infezioni, deleterie per il prodotto, ma è anche un procedimento per omologare la gamma dal punto di vista organolettico. Ne aumenta, inoltre, i tempi di conservazione e fa in modo che il gusto sia invariabile nel tempo, così come prevedono i grandi volumi delle industrie e le produzioni “a catena”, ma è anche il motivo per cui la birra artigianale viene definita “viva” ovvero perché i lieviti continuano a lavorare anche una volta trasferiti in bottiglia o in fusto (rifermentazione) e il prodotto, oltre a conservare egregiamente sapori e profumi, può variare da un lotto di produzione all'altro e può essere affinato come un buon vino d'annata.

Microfiltrazione

Si parla, invece, di microfiltrazione quando il prodotto viene filtrato mediante delle membrane che, anche in questo caso, ne trattengano possibili microorganismi patogeni che possano potenzialmente compromettere il risultato finale. E' un procedimento meno invasivo, anche se comunque “distruttivo”, rispetto alla pastorizzazione che stermina del tutto i batteri grazie alle elevate temperature. In campo brassicolo, la microfiltrazione è operata dalle industrie principalmente per chiarificare la birra, per renderla più limpida e non torbida, eliminando, inoltre, i residui che possono addensarsi sul fondo delle bottiglie.

Produzione

Il terzo punto sancisce un limite di produzione annuale, compreso il quantitativo emesso per conto terzi. Limite piuttosto ottimista, considerando che in Italia, la produzione annuale di tutti i microbirrifici messi insieme (e non a caso chiamati tali) si aggira intorno ai 300.000 ettolitri, costituendo il 2-2,5% della produzione brassicola totale (circa 13,5 milioni di ettolitri). Parlando di esportazione made in Italy il volume complessivo è di 1,9 milioni di ettolitri di cui 20.000 provengono dai microbirrifici. Numeri quasi insignificanti se rapportati a quelli dei più noti brand nazionali.
Volumi così ridotti fanno, inoltre, sì che si riscontri una netta differenza di prezzo dei prodotti sugli scaffali. Un produttore artigianale necessita di una quantità di materie prime limitata, ma anche di qualità e ciò comporta una spesa che andrà a ricaricarsi sul prodotto finito. Le birre industriali costano meno perché vengono acquistati quantitativi enormi di ingredienti e perché, a volte, vengono impiegati dei succedanei (il malto, in differenti casi, è sostituito dal mais molto meno esoso) o dei concentrati che hanno un potere produttivo maggiore. I microbirrifici, inoltre, utilizzano spesso ingredienti altri che caratterizzano le birre, ma di conseguenza ne aumentano anche il valore e dunque il prezzo finale. Pensiamo alle spezie per le saison o al cacao e al caffè per aromatizzare le Stout o ancora ai frutti stagionali come possono essere la zucca e la castagna: elementi che costituiscono un surplus gustativo caratterizzante e unico, aumentando notevolmente la qualità e il valore del prodotto finito. E la qualità, come ben siamo consapevoli, si paga.

Costi

Un altro aspetto che influisce sui costi delle piccole e medie produzioni è costituito dalle accise, ovvero dalla tassazione imposta sulla quantità di prodotto emessa (37€ per ettolitro circa). Questo determina un notevole aumento dei prezzi per sostenere la spesa di questa gravante che di anno in anno aumenta danneggiando i produttori e i consumatori, considerando anche che, nel nostro Paese, la birra è l'unica bevanda da pasto a subire questo tipo di tassazione poiché i vini ne sono esclusi. E se per un'industria questo costo rimane un numero tra tanti, per gli artigiani che mandano avanti la “baracca” da soli, con uno o massimo due soci o, se fortunati, con l'aiuto della famiglia, le accise influiscono in modo deleterio, causando spesso una cessazione di attività. Sarà (si spera) questo il prossimo punto su cui si sentirà la necessità di legiferare?

Varietà

Un'altra differenza, in parte accennata, da sottolineare tra la birra industriale e quella artigianale è il libero arbitrio. I grandi brand, motivo per cui i prodotti sono microfiltrati e pastorizzati, tendono a livellare la produzione per conquistare una fetta di pubblico enorme garantendo sempre lo stesso identico gusto da qui ai prossimi 100 anni. A volte, nascono linee di produzione nuove, edizioni speciali o limitate dettate dalle esigenze di mercato, ma in generale si garantisce al target di clientela un prodotto sicuro da scegliere, che non riserva sorprese nel gusto o nella conservazione. I mastri birrai delle grandi etichette si impegnano, pertanto, a mantenere una linea di produzione livellata, che rispetti i canoni standard del brand e che soddisfi l'immaginario del cliente che, una volta stappata la bottiglia, sa esattamente ciò a cui si trova davanti. Quello che invece caratterizza la birra artigianale è il fermento, la frenesia del testare, del rimestare, del togliere e dell'aggiungere, del provare e soprattutto del creare. Un ottimo mastro birraio è una figura che si veste dell'equilibrio tra la sapienza e la praticità di un artigiano e l'estro e la fantasia di un artista senza mai fermarsi. Finita una cotta si pensa già a quella successiva. E gli ingredienti, che siamo o meno legati al territorio, diventano motivo costante di ispirazione e ricerca, una palestra dei sensi sempre aperta. La birra artigianale è quindi un prodotto più di nicchia (o almeno per ora), un percorso di gusto e idee nuovi e differenti in cui c'è sempre da aspettarsi qualcosa di diverso.
Lelio Bottero e Marianna Bottero