Dal cacao al cioccolato

Tavolette, bon bon, barrette e praline. “Il cibo degli dei” è disponibile in svariati formati e gusti, ma vi siete mai chiesti come nasce?

Dal cacao…

L’albero di cacao (Theobroma) produce dei grossi frutti a bacca allungata detti cabosse, di colore diverso a seconda della varietà. Esistono infatti cabosse verdi, gialle o rossastre. All’interno delle cabosse si trovano la polpa e circa 20-30 preziosi semi di cacao.

L’estrazione del cacao inizia con la fermentazione, durante la quale semi e la polpa del cacao vengono ammucchiati in casse o ceste al riparo dalla luce, e lasciati riposare per circa una settimana. Per bloccare la fermentazione subentra l’essiccazione (artificiale o solare), fase che riduce l’umidità della massa ottenuta del 6-7%. A questo punto i semi di cacao vengono trasportati negli stabilimenti per essere puliti, selezionati ed, eventualmente, pre-tostati tramite infrarossi.

Si passa poi alla fase fondamentale di torrefazione, dove i semi vengono tostati per circa mezz’ora a una temperatura elevata (100-130°). Lo scopo del procedimento non è solo di sviluppare gli aromi tipici del cioccolato, ma ha anche l'obiettivo di eliminare gli acidi volatili, l’umidità e i batteri.

Durante la macinazione i semi vengono prima ridotti in granella e poi in polvere grazie a cilindri caldi che, fondendo il grasso contenuto (in percentuali oltre al 50%), trasformano questa in una massa fluida detta liquore o pasta di cacao: un prodotto simile per aspetto al cioccolato. Ma come arriviamo da questa pasta alla comune tavoletta?

… alla tavoletta

Per permetterci di assaporare anche un solo quadretto di cioccolato, la pasta di cacao deve essere spremuta e poi miscelata. Nella prima fase la parte grassa (il burro di cacao) della pasta viene separata dalla parte secca (il pannello, dal quale si ottiene il comune cacao in polvere).

La seconda fase, quella di miscelazione, vede entrare in campo l’abilità e creatività dei maestri cioccolatieri, i quali selezionano gli ingredienti per dare vita al proprio cioccolato.

Si passa poi alla fase più golosa del processo: il concaggio. Introdotta per la prima volta da Rodolphe Lindt nel 1879, questa fase ha l’obiettivo di amalgamare armoniosamente i vari componenti, ridurre gli aromi acidi e astringenti ed eliminare l’umidità residua.

Omettendo questa fase si parla di lavorazione a freddo, secondo cui il cioccolato viene lavorato a 35-40 °C con la sola aggiunta di zucchero semolato. Ne è un esempio il rinomato Cioccolato di Modica, dove lo zucchero ancora cristallizzato dà al cioccolato il caratteristico aspetto granuloso.

Varietà

Secondo le normative europee, il cioccolato definito tale deve contenere almeno il 25% di sostanza secca (ovvero la polvere di cacao) e non meno del 18% di sostanza grassa (il famoso burro di cacao). Le combinazioni di ingredienti per ottenere la tavoletta perfetta sono molteplici, ma le varietà di cioccolato più comuni possono ridursi a 4.

  • Fondente: il suo gusto intenso si deve a una percentuale di cacao del 43%. Esistono però, per i veri estimatori, cioccolati che contengono fino al 90% di cacao.

  • Al Latte: cacao al 25%, zucchero e latte (o derivati). Questa varietà nasce grazie allo svizzero Daniel Peter nel 1875, quando unì al cioccolato del latte condensato, ossia privo dell’acqua che, altrimenti, avrebbe fatto irrancidire il composto.

  • Gianduia: complici le nocciole finemente macinate, nasce un cioccolato composto al 30% da cacao e contenente dai 20 ai 40 grammi di nocciole per 100 grammi di prodotto. Bianco: ribattezzato da molti il “non cioccolato”, celebre per l’assenza di un ingrediente fondamentale come il cacao. È costituito al 20% da burro di cacao (chiaro per natura), 14% latte o suoi derivati e non più del 55% da zucchero.