Il malto è il prodotto della lavorazione dei chicchi di cereale, comunemente dell’orzo. Questo processo viene appunto chiamato “maltazione” o “maltatura”.
Come prima cosa, i chicchi vengono fatti germogliare: in questo modo gli enzimi all’interno del guscio degradano l’amido di nutrimento del seme, producendo il maltosio, uno zucchero semplice e solubile in acqua. La parola “malto” infatti deriva dall’inglese “malt”, che a sua volta proviene dal sassone “meltan”, ovvero “disciogliersi”.
Grazie alla maltatura, il mosto potrà contare sugli zuccheri richiesti perché avvenga la fermentazione alcolica.
La germinazione viene tenuta sotto controllo, e infine interrotta, sottoponendo i semi a diversi gradi di umidità.
In seguito, i chicchi vengono essiccati e tostati. Dal livello di intensità con cui si svolge questa fase dipende il colore della birra che otterremo.
Il malto infine si disgrega, diventando una farina grossolana che viene disciolta in acqua calda per subire la fermentazione.
Il seme di questa pianta risulta essere quello più adatto per la produzione della birra, grazie principalmente alla sua composizione chimica, ovvero la sua produzione enzimatica e il suo bilanciamento di amidi, proteine e grassi. Inoltre il seme è rivestito da un guscio, che contribuisce a una corretta filtrazione del mosto.
L’aveva forse intuito il Duca Alberto IV di Baviera, che con un Editto del 1497 identificava l’orzo come unico cereale impiegabile nella produzione della birra.
Il principale surrogato del malto d’orzo è quello di frumento, ingrediente principale di birre come la Weizen e impiegato in quantità ridotte anche in altre produzioni, in quanto ha la capacità di migliorare le caratteristiche della schiuma. Conta su una buona attività enzimatica, ma essendo a grani nudi viene impiegato insieme al malto d’orzo per ottenere un letto di filtraggio adeguato in ammostamento. Con gli stessi accorgimenti possono essere impiegati anche la segale e il farro.
Con una lavorazione completamente diversa, possiamo utilizzare anche cereali non maltati, come il mais, il riso e il sorgo.
Da un lato abbiamo i malti detti “base”, ovvero quelli che più contribuiscono in quanto a componenti fermentativi del mosto: possono infatti essere impiegati da soli, mentre i “malti speciali” devono essere lavorati insieme a una parte di quelli base.
I malti base più comuni sono i seguenti:
Tra i malti speciali nominiamo il Malto Acido, adoperato per gestire il pH del mosto, il Malto Melanoidin, che conferisce pienezza di gusto, il Malto Affumicato e i Malti Caramellati.
Innanzitutto: il doppio rispetto a cosa? È una terminologia che non ha niente a che vedere con la quantità o i tipi di malto nella birra. Si tratta di una sfortunata scelta di parole della legislatura italiana, funzionale alla tassazione per i produttori, che fa riferimento al grado zuccherino del mosto. Non dà quindi alcuna indicazione sulle caratteristiche della birra.
In pratica se ordinate due birre “doppio malto”, potrebbero potenzialmente arrivarvi sul bancone due birre completamente diverse tra loro.