I solfiti: a cosa servono

Un argomento che mi sta particolarmente a cuore riguarda la presenza dei solfiti nel vino, io che sono “sensibile”, “intollerante”, “allergica” al solfito, mi occupo di una materia (il vino) che di solfito ne ha anche troppo, e dei malesseri derivanti dal solfito nel vino ne sono portavoce, e non l’unica.
Chimicamente parlando, lo ione solfito o Solfito è composto da zolfo e ossigeno. La sua formula chimica è SO2 e viene generalmente usato come additivo nel cibo o nelle bibite, come conservante e per prevenire l’ossidazione. Elementi chimici molto simili, o derivanti con cui viene indicato sono l’anidride solforosa, il bisolfito di potassio o bisolfito di sodio, come anche i coloranti, con le care e vecchie sigle che vanno dalla E 220 alla E 228.
Seppur contenuto naturalmente in alcuni cibi tra cui crostacei e aglio fresco, e altrettanto presente nel vino quale prodotto della fermentazione alcolica, l’SO2 è normalmente addizionato in moltissimi prodotti di uso comune come ad esempio scatolame (verdure o pesce), gamberi, frutta secca (albicocche, fichi), alimenti disidratati, zuppe, bibite gassate, marmellate, patatine fritte, alcune birre, eccetera.
È uso comune negli ultimi anni, sull’onda modaiola dei cibi integrali, naturali, puliti e green, puntare il dito contro questo additivo (anche a ragione, aggiungerei), tanto che è stato fatto rientrare nell’elenco degli allergeni (vedi direttiva CE 89/2003) e che, soprattutto all’estero, Canada e USA in prima fila, viene doverosamente indicato non solo nelle etichette del vino (negli Stati Uniti dal 1987) ma anche negli alimenti, sia nei foodstore che nei ristoranti.
Da noi, l’idea che la salute venga salvaguardata anche da queste componenti sta iniziando ora a fare capolino nelle abitudini personali, tanto che è solo dalla vendemmia 2005 che è obbligatorio indicare in etichetta la presenza del solfito nei vini, nel caso la concentrazione sia superiore ai 10mg/l (il che succede spesso).
Nel vino, i solfiti vengono utilizzati per la loro azione antisettica, antiossidante e per favorire la stabilità del colore e del vino stesso.
Solo una parte dell’SO2 addizionato sarà effettivamente utile: il resto si combinerà con gli altri elementi del vino e diventerà inutile. Sarà quindi la differenza tra il solfito libero e quello perso la dose adatta alla conservazione, circa la metà di quanto viene aggiunto in fase iniziale.
I vini bianchi, a causa della mancanza di antiossidanti naturali, necessitano di solfitazione maggiore rispetto ai rossi, che sono invece naturalmente forniti di antiossidanti dati dai tannini e dal resveratrolo, sostanze che vengono rilasciate nel vino in fase di fermentazione grazie al lungo contatto del mosto con le proprie bucce.
I vini dolci hanno sempre un’aggiunta maggiore di solfito perché lo zucchero si combina e si lega all’SO2 e, per avere la parte utile alla conservazione, la concentrazione totale dovrà essere maggiore delle altre tipologie di vini.
In Europa le dosi massime di solfiti addizionabili ai vini sono di 210mg/l per vini bianchi o rosé, 160mg/l per i vini rossi e di 400mg/l per i vini dolci. L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ne raccomanda una dose massima giornaliera di 0,7mg per kg di peso.
Poiché, come dicevamo all’inizio, non solo il vino contiene solfiti, si può dedurre che è fattibile introdurre nel nostro organismo giornalmente una dose di solfito superiore a quanto tollerabile dal nostro corpo: ed ecco quindi il classico mal di testa, orticaria o rush cutaneo, nausea, fino a crisi respiratorie nei soggetti particolarmente sensibili o asmatici.
Si può fare vino senza solfiti?
I vini biologici hanno una legislazione specifica che di fatto abbassa la quantità di solfito, addizionabile di 50/60mg/l per tipologia, ma non la elimina del tutto, come del tutto non la elimina la viticoltura biodinamica né la produzione dei vini naturali per le quali non si ha ancora una legislazione ad hoc.
Si può considerare un vino senza solfiti un vino che ne abbia meno di 10mg/l e per poterlo produrre è necessario avere uve sane, prive di muffe, utilizzare solo lieviti selezionati, evitare assolutamente qualsiasi contatto con l’ossigeno durante le fasi di lavorazione, utilizzare gas inerti ed evitare lunghi affinamenti. A tutt’oggi, nonostante le pratiche di vigna e cantina siano maggiormente rivolte alla riduzione della chimica inutile, non si è ancora trovata del tutto la possibilità di conservare a lungo un vino senza solfiti.
Il mal di testa del giorno dopo non è dato solo dalla quantità di vino bevuta o dalla miscela dei vini ingeriti, ma anche dalla quantità di solfito introdotto nel nostro organismo. Trovate il vostro limite, individuate i vostri vini, quelli che il giorno dopo non vi danno emicrania e bevete responsabilmente. Cin Cin!